A poche ore dall’inizio del Consiglio europeo nessuno è ancora in grado di prevedere come si posizionerà l’Italia. Il discorso molto duro di Giorgia Meloni davanti al Parlamento farebbe propendere per una bocciatura – magari sottoforma di astensione- al bis di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. La premier ha contestato sia il metodo che il merito nella scelta dei top jobs europei. L’accusa è che non avrebbero rispettato il verdetto uscito dalle urne del 9 giugno.
L’incognita dei franchi tiratori
Sulla carta però la maggioranza che si è formata attorno a von der Leyen, al socialista Antonio Costa per il ruolo di presidente del Consiglio europeo e all’estone liberale Kaja Kellas come Alto rappresentante per la politica estera avrebbe i numeri. I tre gruppi che li rappresentano valgono circa 400 voti, sopra quindi il quorum di 361 ovvero della maggioranza assoluta. Il problema però è che questo voto viene espresso segretamente e dunque i franchi tiratori abbondano. Il conto grossolano che si fa in queste ore è che saranno almeno una cinquantina. Al contrario del presidente del Consiglio europeo, che verrà eletto al summit che si sta per aprire a Bruxelles, il sì definitivo per la presidenza della Commissione lo dà il Parlamento. Quindi anche se von der Leyen verrà indicata dal Consiglio europeo tra oggi e domani nuova presidente della Commissione, le probabilità che superi l’esame a Strasburgo della plenaria che si terrà il 18 luglio sono tutt’altro che favorevoli. Ed è qui che entra in gioco Meloni che con i 24 voti dei deputati di Fratelli d’Italia può offrire a von der Leyen un paracadute per superare l’esame dell’aula di Strasburgo.